A cura di Giulia Scibè e Anna Sedioli

 

26 Aprile 1986, Ucraina, città di Chernobyl. Fu quello il giorno in cui si verificò uno dei più catastrofici errori umani, che causò l’esplosione del reattore numero 4 della centrale. Le conseguenze furono devastati. Oltre ai morti nell’immediato e ai deceduti a distanza di tempo, ci fu una contaminazione radioattiva a partire dalle zone limitrofe il sito, fino in Italia.

È proprio la paura provocata da quella catastrofe, che sembrava ormai solo un ricordo lontano, che ad oggi torna a spaventare il mondo.

35 anni dopo il disastro sono stati infatti rilevati dei segni di ripresa nelle reazioni di fissione nella centrale al livello di barre di uranio sepolte nelle stanze di ingresso del reattore. A darne l’allarme sono stati gli scienziati di Kiev, i quali stanno monitorando le attività e  valutando il da farsi. L’esperto Neil Hyatt ha definito quanto sta accadendo “come se ci fossero tizzoni in un barbecue”. Si pensa che le conseguenze che potrebbero scaturire da tali fenomeni di riattivazione, non sarebbero in ogni caso della portata di quanto accaduto nella notte del 26 aprile. Ad ogni modo, un possibile intervento non è da escludere.

Al momento dell’incidente, nel 1986, l’uranio usato come combustibile, insieme ad altri metalli e rivestimenti di vario genere, precipitarono nella cantina dell’ingresso del reattore come lava, pietrificandovisi. Ad oggi, si trovano nel reattore circa 170 tonnellate di uranio irradiato. I rilevatori hanno captato un incremento nel numero di neutroni, segnale che indica la ripresa della reazione di fissione in una delle camere che ad oggi sono inaccessibili.

Dopo il disastro nucleare fu costruita intorno al reattore una barriera di contenimento che avrebbe dovuto isolare la struttura dalle piogge. L’acqua a contatto con i neutroni avrebbe rallentato il loro moto, incrementando però la possibilità di generare urti a catena tra questi, per mezzo della fissione del nucleo dell’uranio. Recentemente, durante il monitoraggio dei livelli nel reattore, è emersa, a seguito di ingenti piogge, una crescita di questi. Secondo i rilievi, gli indicatori sarebbero tornati alla normalità in poco tempo. A preoccupare però è stata la repentina crescita del numero di neutroni in corrispondenza di una delle stanze del reattore. Gli scienziati pensano che, a seguito della solidificazione dell’uranio e di altro materiale precipitato nelle stanze, la fissione potrebbe accelerare fino al rilascio in modo incontrollato di energia, oltre a causare crolli nelle sezioni instabili dell’edificio, con la conseguente liberazione di materiale radioattivo.

La paura e l’incertezza tornano a sconvolgere il mondo. Quello che 35 anni fa aveva paralizzato l’Europa non sembra essere solo un ricordo, ma si ripresenta nell’immaginario attuale, non di certo privo di preoccupazioni.

Ciascun Paese europeo, a seguito dell’incidente e delle sporadiche comunicazioni che giungevano dal governo sovietico, ha messo in atto diverse metodiche di prevenzione e contenimento dell’emergenza sociale. Si ricorda il divieto di consumare ortaggi, frutta e latticini. Da quel momento la produzione di energia, l’utilizzo dell’uranio e la salvaguardia della salute pubblica, sono diventati materia principale di dibattito, sia nella scena politica che tra i cittadini di molti paesi.

In Italia, a seguito degli eventi catastrofici che hanno sconvolto il secolo scorso, la produzione di energia nucleare è un argomento molto controverso. Dopo l’incidente di Chernobyl furono indetti 3 successivi referendum. Nessuno di questi vietava apertamente la costruzione di nuovi siti, né tanto meno la chiusura di quelli preesistenti. Solo dopo il disastro a Fukushima, 16 marzo 2011, il dibattito, mai realmente dimenticato, si è riacceso.

Attraverso lo storico Referendum del 2011, i cittadini si sono mostrati ben poco favorevoli alla costruzione di nuovi impianti di produzione dell’energia nucleare. Il testo, votato da oltre 47 118 352 di italiani, si compone di quattro quesiti. Di questi, il terzo è relativo all’abrogazione dello stop alla costruzione di ulteriori centrali, oltre a quelle preesistenti sul territorio, situate a Latina, Sessa Aurunca, Trino e Caorso. Con un risultato schiacciante, di circa il 94,8%, i cittadini italiani hanno espresso la loro opinione inerente tale argomento.

Il dibattito popolare e politico che ha portato all’emanazione di tale Referendum non è nuovo in Italia. Le trattative e la ricerca di possibili strategie economiche redditizie per l’utilizzo di energia nucleare sono state al centro dell’attenzione dal 2005 al 2008, senza però aver raggiunto rilevanti conclusioni, fino allo schiacciante risultato del 2011. In realtà, le 4 centrali preesistenti furono chiuse anni prima a seguito del superamento del limite d’età degli impianti o a seguito di Referendum preesistente votato nel 1987.

L’energia è il motore delle nostre vite e di tutto ciò che ci circonda. Per conoscere a fondo la questione è necessario informarsi accuratamente, così da poter comprendere al meglio il mondo del nucleare e tutte le potenzialità trascurate.

Il settore energetico globale costituisce il maggior responsabile delle emissioni di gas serra (in Europa raggiunge il 35% delle emissioni totali) e del surriscaldamento globale (le emissioni correlate all’energia rappresentano il 73%). È importante rendersi conto dell’influenza che questi fattori hanno per il nostro pianeta e il nostro sostentamento, per comprendere la rilevanza delle scelte che vengono fatte.

L’energia nucleare e le energie rinnovabili sono le uniche fonti energetiche che non rilasciano nell’ambiente gas nocivi, come gli ossidi di zolfo (SO2) e di azoto (NOx responsabili delle piogge acide), e l’anidride carbonica (CO2, causa principale dell’effetto serra). Infatti, l’energia nucleare è un’energia pulita, a basse emissioni di carbonio (seconda in assoluto dopo l’energia idroelettrica) e in termini ambientali comporta la capacità di contribuire alla riduzione delle emissioni di gas serra ed anche alla sostituzione dell’utilizzo dei combustibili fossili.

L’utilizzo dell’energia nucleare a partire dagli anni ‘70 ha evitato l’immissione in atmosfera di 60 miliardi di tonnellate di CO2 e oggi, per migliorare le condizioni ambientali, il suo utilizzo potrebbe essere integrato con altre energie rinnovabili. Nonostante questo, molti Paesi, in seguito ai disastri più noti di Chernobyl e Fukushima e ai diversi referendum popolari, hanno deciso di diminuire o eliminare questa fonte di energia. Ciò ha comportato diverse difficoltà in termini di riduzione dell’utilizzo di combustibili fossili, nonché una buona dose di incoerenze, come nel caso dell’Italia, che è diventata la più grande importatrice di energia elettrica al mondo, ricorrendo al nucleare francese per il 15% delle proprie importazioni.

Un’informazione estremamente interessante è il fatto che nonostante carbone, petrolio e gas predominano la scena e le discussioni riguardanti l’energia, quella nucleare produce un terzo dell’elettricità e un settimo dell’energia dell’Unione Europa.

L’utilizzo di energia nucleare, oltre che comportare un aiuto alla lotta contro i gas serra e al surriscaldamento globale, rappresenterebbe un grande alleato per il mondo del lavoro soprattutto di elevata qualificazione. Uno studio sulla situazione italiana dimostra che se fosse disposto il programma nucleare previsto dal Piano Energetico Nazionale (PEN) 1985 (12 impianti) si creerebbero 20 mila posti di lavoro, fino ad arrivare a 35mila durante la costruzione degli impianti.

Inoltre, uno studio rivela che ogni euro investito per il nucleare genera 5 euro in più del PIL dell’UE e così, ogni posto di lavoro nel campo nucleare, produce 3,2 posti di lavoro nell’indotto. Questo contribuirebbe direttamente alla crescita economica della UE.

Quindi il rilancio del nucleare potrebbe dare una spinta al mondo lavorativo, creando nuovi posti, e di conseguenza contribuirebbe al rilancio economico oltre che all’enorme miglioramento del sistema energetico da un punto di vista ambientale e di sostenibilità.

Come ogni grande tematica, il nucleare presenta però anche alcuni aspetti negativi.

Le principali problematiche risiedono all’inizio e alla fine del processo di produzione dell’energia. Infatti, le criticità nella nascita di una centrale nucleare si riscontrano già dall’elemento base: l’uranio, dall’estrazione al trasporto. Il 60% dell’uranio presente al mondo è prodotto da Canada, Australia e Kazakistan e Africa. Quest’ultima produce il 18% dell’uranio, suddiviso tra Namibia, Niger, Malawi e Sudafrica ma nonostante siano molte, le miniere sono controllate da poche multinazionali.

In Italia è presente una miniera a Novazza che però è stata chiusa dopo il referendum contro il nucleare del 1987.

Le problematiche principali nell’estrazione dell’uranio sono, in particolare per l’Africa, la grande necessità d’acqua, la cui assenza rende problematica se non impossibile l’estrazione, lo scarso potere di controllo e gestione degli organi regionali, la mancanza di infrastrutture adatte che rende difficoltoso il trasporto e ovviamente il pericolo per la salute al quale sono esposti i minatori, come la possibilità di sviluppare cancro ai polmoni. Inoltre, anche il fattore trasporto risulta problematico in termini di inquinamento e pericolosità.

In generale, il processo che porta ad avere le pastiglie di uranio utilizzabili nelle centrali nucleari è molto lungo. A partire dall’estrazione dei minerali si procede con trattamenti e operazioni chimiche-fisiche, fino ad ottenere il prodotto finale, inseribile nel cuore del reattore e utilizzabile per un totale di 4-5 anni al termine dei quali le pastiglie vengono immerse nelle piscine di disattivazione, dove rimarranno per circa 3 anni (per perdere una parte della loro reattività). Al termine del suo utilizzo questo elemento può essere considerato una scoria radioattiva e quindi inutilizzabile, oppure si procede ad un riutilizzo di alcuni componenti (pratica sulla quale l’opinione è ancora divisa, vista la grande varietà di rifiuti radioattivi, in termini di provenienza, di durata o di radioattività).

Un importante punto a sfavore dell’utilizzo del nucleare rimane sicuramente la probabilità, anche se minima, che qualcosa vada storto, che si ripetano disastri come Chernobyl o Fukushima. La probabilità che si verifichi un disastro è piccola ma esiste e le conseguenze per la vita e l’ambiente, in quel caso, sarebbero catastrofiche. Dunque, la domanda che dobbiamo porci è: siamo disposti ad accettare il rischio per poter sfruttare le tante opportuntità che il nucleare ha da offrire?

Oltre a questo, la fonte energetica di energia nucleare deriva dalla fissione, oggi come negli anni passati. Pensando ad una prospettiva futura, e tenendo conto dell’avanzamento delle tecniche, si potrebbe riflettere sull’utilizzo di ulteriori metodiche come quella della fusione. Il vantaggio della fusione deriva dalla produzione di quantità inferiori e più facili da gestire di scorie radioattive rispetto ai reattori a fissione, con costi operativi molto più bassi. Il prodotto di scarto della fusione dell’idrogeno è il trizio, isotopo la cui radioattività non riesce a superare la pelle umana, costituendo quindi un basso rischio per la salute nel caso di contaminazioni accidentali.

Sono tanti i motivi che dovrebbero spingere la ricerca nell’ambito dell’energia nucleare. Nonostante tutto, questo tema risulta, ancora ad oggi, molto discusso ma allo stesso tempo poco analizzato. Comprendere che il nostro stile di vita non è sostenibile e che abbiamo bisogno di nuove fonti sostenibili è fondamentale. Il primo passo per l’utilizzo delle energie più pulite è sicuramente l’informazione.